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Farmacologia Genere-Specifica
All'interno del concetto di Medicina Genere-Specifica, che vuole porsi con una lente di attenzione ai concetti di genere e sesso, portando allo sviluppo di una medicina personalizzata in questo senso, si inserisce la Farmacologia di Genere. La Farmacologia Genere-Specifica vuole prestare attenzione alle differenze esistenti in termini di efficacia e sicurezza dei diversi trattamenti farmacologici, sulla base del sesso e del genere del soggetto a cui vengono somministrate le cure. Queste differenze hanno, infatti, un impatto significativo sull'efficacia di queste e sulla possibilità di sviluppare eventuali effetti collaterali.
Le parole della farmacologia sesso e genere specifica
Sesso: viene generalmente assegnato alla nascita e si riferisce a caratteristiche biologiche dell'individuo, come quelle genetiche, gonadiche, anatomiche e ormonali
Genere: costrutto sociale che dipende dal momento storico considerato, oltre che dall'area geografica e dalla cultura considerata. Questo concetto muta, dunque, nel tempo, oltre che dipendere dalla sensibilità personale ed è perciò fluido per definizione.
Binarismo di genere: si riferisce alla visione occidentale del genere, che ne descrive solo due sfaccettature possibili, ovvero quelle di maschio e femmina. Una visione non binaria del genere comprende invece più sfumature, oltre quelle di maschio e femmina.
Cisgender: una persona il cui genere in cui si identifica corrisponde al sesso biologico assegnato alla nascita.
Transgender: una persona il cui genere in cui si identifica non corrisponde al sesso assegnato alla nascita. Si tratta di un termine ombrello che racchiude più generi diversi.
AFAB: Assigned Female At Birth, persona assegnata femmina alla nascita.
AMAB: Assigned Male At Birth , persona assegnata maschio alla nascita.
Il problema della sotto-rappresentazione clinica
Considerando lo studio di un farmaco, si parte dagli effetti che questo ha sulle cellule, passando poi a studi che vengono effettuati sugli animali e, infine, sull'uomo. Questo percorso viene portato avanti, solitamente, senza considerare differenze di sesso nè per le cellule, né per gli animali, né per gli esseri umani. Dal 1993 negli Stati Uniti è in vigore una legge che impone agli studi clinici finanziati dal National Institutes of Health di includere nelle popolazioni oggetto di studio sia donne sia uomini (anche se sono da verificare poi le percentuali di inclusione), ma nessuna legge, ad oggi, impone l’inclusione contemporanea di animali maschi e femmine negli studi pre-clinici. Il problema della sotto-rappresentazione delle donne cisgender negli studi clinici ed in quelli pre-clinici è ormai noto: ancora oggi la popolazione femminile risulta fortemente sotto-rappresentata. In questi essa costituisce soltanto circa il 30% della collettività considerata, nonostante i notevoli passi in avanti fatti negli ultimi anni. Tale esclusione è paradossale, essendo che le donne, in media, possiedono un’aspettativa di vita superiore a quella dell’uomo, e, di conseguenza, fanno uso di farmaci per un periodo di tempo più prolungato. I dati ISTAT 2022, infatti, affermano che la speranza di vita media degli uomini è di 80,1 anni, mentre quella delle donne di 84,7. Tuttavia, l’aspettativa di vita sana risulta essere identica in entrambi i sessi. Ciò significa che le donne passano un periodo di tempo maggiore in uno stato di malattia-disabilità, e, di conseguenza, assumono farmaci più a lungo rispetto alla controparte maschile. Le ragioni dell’esclusione delle donne cisgender dalla maggior parte dei trials clinici hanno sicuramente radici storiche: fino alla metà del 1900 non si pensava che il corpo femminile fosse diverso da quello maschile, se non per ciò che riguardava l'apparato riproduttivo. Questo ovviamente è un motivo che si lega con la visione patriarcale ancora oggi totalmente presente nella nostra società.
Oggi la ragione di questa esclusione va ricercata anche nelle necessità economiche e di semplificazione sperimentale che affliggono la Ricerca - italiana principalmente, ma non solo. Considerare sempre le donne nei trials clinici complica enormemente lo studio, rendendo la popolazione, e, di conseguenza, i risultati, poco omogenei: la ciclicità ormonale femminile e le varie fasi della vita che ne derivano (gravidanza, allattamento, menopausa), combinate ad alcune abitudini (assunzione di contraccettivi a base ormonale), rendono le donne soggetti particolarmente complessi da analizzare. Pertanto, il più delle volte la ricerca preferisce escluderle per semplificare gli studi. Il profilo di efficacia e sicurezza di un farmaco o di una terapia, non è però uguale tra uomini e donne: assorbimento, metabolismo ed eliminazione dei farmaci (ADME), ossia il percorso di un farmaco all'interno di un organismo, sono tappe naturalmente differenti tra i due sessi, soprattutto a causa delle differenze ormonali. Forse proprio per via della sotto-rappresentazione delle donne nei trials farmacologici esse sono soggette a maggiori effetti collaterali e reazioni avverse rispetto alla controparte maschile. Nonostante per diversi farmaci questi effetti avversi siano noti da tempi, i dosaggi farmacologici continuano ad essere tarati su un modello generalizzato, che parte dalla considerazione di un corpo maschile cisgender di 70 Kg di peso, senza tenere conto delle differenze biologiche che invece esistono, sia in relazione al sesso, che al genere delle persone. Secondo un'ottica di medicina personalizzata, bisognerebbe considerare tutte le differenze tra i soggetti: etnia, età, sesso, genere, peso, composizione corporea. Con le dovute differenze etniche e peculiarità genetiche individuali, è noto che in media le donne pesino meno degli uomini e mostrino anche una diversa composizione corporea. Inoltre, le riserve di adipe sono presenti in percentuale maggiore nelle donne. Tutto ciò, naturalmente, influisce enormemente sulla distribuzione di un farmaco e, di conseguenza, i dosaggi delle terapie dovrebbero essere specifici per ciascun sesso. Ad esempio, a causa della maggior percentuale di massa grassa presente nelle donne, i farmaci lipofili mostrano una migliore distribuzione in questi soggetti, mentre nella popolazione maschile si distribuiscono meglio i farmaci con caratteristiche idrofile. Sulla base dell’età e del sesso varia molto l'ADME, come già detto: le donne, ad esempio, mostrano una minore velocità di svuotamento gastrico, una ridotta motilità intestinale e maggior acidità gastrica. Per quanto riguarda, infine, la velocità di eliminazione dei farmaci, va considerato che le donne possiedono un tasso di filtrazione renale più basso rispetto alla popolazione maschile e ciò prolunga il tempo di permanenza di un farmaco all’interno dell’organismo, aumentando così il rischio di sviluppare tossicità.
Le persone transgender
Le persone transgender possono scegliere o no di intraprendere un percorso di affermazione di genere (GAHT), tramite l'uso di estrogeni o testosterone (principalmente), a seconda dell'obiettivo di espressione di genere desiderato. Ad oggi le persone transgender sono però incluse negli studi clinici solo per quel che riguarda ricerche riferite all'HIV, la terapia di prevenzione per il virus, cioè la PreP e studi riguardanti le malattie sessualmente trasmissibili: la ricerca è stata influenzata dal pregiudizio, polarizzandosi su questi tempi e lasciando un baratro di non conoscenza sugli effetti e sulle possibili interazioni tra le terapie farmacologiche di affermazione di genere e altri farmaci. L'oltre mezzo milione di persone transgender presenti in Italia non ha rappresentazione alcuna nei modelli di studio dei farmaci. Ragionare, dunque, disaggregando i dati per sesso e per genere di chi è coinvolto nelle sperimentazioni farmacologiche, non significa fare pura speculazione fine a sé stessa, perché la mancanza di questi dati porta a maggiori effetti collaterali, più rischi e meno diritti rispettati. La farmacologia sesso e genere specifica si pone l'ambizioso obiettivo di adeguare gli interventi farmacologici alle esigenze di ciascun paziente, mirando così a creare una farmacologia di tipo personalizzato. Uomini, donne, persone transgender: tutti sullo stesso piano.
I progressi fatti
Negli ultimi decenni, sono stati fatti enormi passi avanti:
Nel 1993, la Food and Drug Administration (FDA) obbliga a reclutare entrambi i sessi nelle fasi di sviluppo dei farmaci (FDA 1993 -present).
Nel 2005, l'European Medicines Agency (EMA) impone l'impiego di campioni rappresentativi di entrambi i sessi (Gender Consideration in the conduct of Clical Trials).
Nel 2016, il Ministero della Salute ha ufficialmente riconosciuto il Genere come determinante della salute (consulta il PDF).
Nel 2019, ancora, il Ministero della Salute ha predisposto il Piano per l’Applicazione e la Diffusione della Medicina di Genere (consulta il PDF).
24 luglio 2023: recepimento del Piano per l'Applicazione e la Diffusione della Medicina di Genere adottato con D.M. 13/06/2019. - Approvazione dell'atto di programmazione regionale denominato ''Piano regionale per l'applicazione e la diffusione della Medicina di Genere (2023-2025)''.
Il SSN, l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e l’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) hanno, inoltre, promosso questo nuovo approccio in medicina, incentivando l'adozione di nuove strategie sanitarie preventive, diagnostiche e terapeutiche, in grado di tenere in considerazione le differenze tra uomini e donne, non solo in termini biologici e clinici, ma anche culturali e socio-psicologici (Il genere come determinante di salute). Tale approccio può permettere al SSN di ottenere un risparmio, anche di tipo economico, consentendo di limitare l'uso di farmaci, da un lato, ove inefficace, e di ridurre recidive e ospedalizzazioni, mirando i trattamenti, migliorando la Salute dell’utenza. L’attenzione al sesso e al genere nell’ambito della sanità pubblica è, pertanto, una scelta vincente e strategica.
Legge 3/2018 sulla applicazione della Medicina di Genere (Piano per l’applicazione e la diffusione della medicina di genere), da cui poi è derivato il Piano del 2019. Il Piano afferma la necessità di garantire prevenzione, diagnosi e cura, a ogni persona, con un approccio che tenga conto delle differenze di genere, in tutte le fasi della vita e in tutti gli ambienti di vita e di lavoro.
Agenda 2030 (ONU Italia La nuova Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile), obiettivi 3 e 5 (Salute e Benessere e Parità di Genere) e della Global Health 50/50 (Global Health 50/50), l'organizzazione sovranazionale che si pone l'obiettivo di promuovere maggior equità nella salute, promuovendo la disaggregazione dei dati per sesso e genere.
I nostri obiettivi
La Medicina dovrebbe essere mossa da un principio di equità, secondo cui fornire a tutte le persone le stesse possibilità, tenendo conto delle differenze esistenti tra queste e assicurando, così, giustizia sociale per ogni individuo. La nostra ricerca, in particolare l'impegno di Terza Missione che caratterizza l'attività del nostro laboratorio, ambisce ad incrementare la consapevolezza a riguardo, impegnandosi per creare un modello virtuoso e promuovere lo sviluppo di una medicina del futuro che sia il più inclusiva possibile. Con il nostro lavoro vogliamo provare a spiegare che non bisogna curare le malattie, ma curare - e avere cura - delle persone.
Fonti
Bierer BE et al, Cell Rep. Med. 2022
Regitz-Zagrosek V, EMBO Report 2012
Labots G et al, Br J Clin Pharmacol 2018
Daitch, V et al, Trials 2022
Gandhi M et al, Annu Rev Pharmacol Toxicol 2004
Schwartz JB, Clin Pharmacokinet 2003
Watson S et al, EClinicalMedicine 2019
Sandberg K et al, FASEB J 2015
Shansky RM, Science 2019
Prendergast BJ et al, Neurosci Biobehav Rev 2014
Becker JB et al, Biol Sex Differ 2016
Putignano D et al, BMC Womens Health 2017
Cahill S et al, LGBT Health 2014
Lettura suggerita della settimana
È il 1991 quando la cardiologa americana Bernardine Healy trasporta in medicina la premessa narrativa del racconto di Singer e pubblica, suscitando un grande dibattito, l’articolo “The Yentl Syndrome” sul New England Journal of Medicine.1 Nel suo articolo, la cardiologa descrive la discriminazione che aveva constatato nell’Istituto di cardiologia che dirigeva: le donne erano meno ospedalizzate, meno sottoposte a indagini diagnostiche (coronarografie) e terapeutiche (trombolisi, stent, bypass) rispetto agli uomini. Da allora la “sindrome di Yentl” viene utilizzata in ambito medico per descrivere il fenomeno per cui le donne che mostrano sintomi o patologie non corrispondenti a quelle maschili rimangono vittime di errori diagnostici e terapie inefficaci. A che punto siamo dopo 30 anni da quell’articolo?